di Roberto Maurizio
Tutti conoscono, si presume, la poesia di Totò, Antonio De Curtis, “A livella”. Ho provato a sostituire i due protagonisti della bellissima poesia del più grande comico italiano di tutti i tempi, il nobile marchese signore di Rovigo e di Belluno e Esposito Gennaro, rispettivamente, con un Colonnello partigiano e con un Brighetto repubblichino e spostando la data dal 2 novembre alla Festa della liberazione. Vediamo cosa è venuto fuori. Ogni anno, il 25 aprile, c’è l’usanza di andare a Porta San Paolo o in un cimitero dei caduti della seconda Guerra mondiale; tutti devono avere questa accortezza, tutti devono avere questo pensiero. Ogni anno, puntualmente, in questo giorno, che rappresenta una bella ricorrenza sono andato anch’io a portare dei fiori sulla bara di un Partigiano delle Langhe, un certo Zi’ Vincenzo. Mentre era intento a posare i fiori sulla bara di Zi’ Vincenzo, mi sono fatto coraggio e cominciato a visitare altre tombe. Quando si avvicinava l’ora di chiusura, tomo tomo, guardavo qualche sepoltura. «Qui dorme in pace il Comandante Partigiano che si è battuto a Rovigo e a Belluno, ardimentoso eroe di mille imprese, morto l’11 maggio del 1944, chiamato prima “Naviga” e poi “Sire”». La tomba aveva uno stemma luminoso ed era avvolta da mazzi di rose e da “cannelle, canne lotte e sei lumine”. Accanto, invece c’era una “tomba piccirella, abbandonata, senza manco un fiore; pe’ segno, solamente ‘na crucella”. Sulla croce di legge “Brighetto Esposito Gennaro, repubblichino”. Tutto intento a visitar le tombe non mi accorsi che ero rimasto chiuso dentro il cimitero. Ad un certo punto nella notte si avvicinarono a me due ombre. La prima era quella del brillante Comandante Partigiano con la bandiera rossa, la falce ed il martello, la seconda quella “fetente” del repubblichino. Il “Sire”, allora, si rivolse al don Gennaro: «Da Lei vorrei saper, vile carogna, con quale ardire e come avete osato di farvi seppellir, per mia vergogna, accanto a me che sono blasonato! La casta è casta e va, si, rispettata, ma Lei ha perso il senso e la misura; la sua salma andava, si, inumata; ma seppellita nella spazzatura! Ancora oltre sopportar non posso la sua vicinanza puzzolente, fa d'uopo, quindi, che cerchiate un fosso tra i vostri pari, tra la vostra gente». «Signor Partigiano, nun è colpa mia, i'nun v'avesse fatto chistu tuorto; la mia gente è stata a ffa' sta fesseria, i' che putevo fa' si ero muorto? Si fosse vivo ve farrei cuntento, pigliasse 'a casciulella cu 'e qquatt'osse e proprio mo, obbj'...'nd'a stu mumento mme ne trasesse dinto a n'ata fossa». «E cosa aspetti, oh turpe malcreato, che l'ira mia raggiunga l'eccedenza? Se io non fossi stato un titolato avrei già dato piglio alla violenza»! «Famme vedé.. piglia sta violenza... 'A verità, Partigiano é, mme so' scucciato 'e te senti; e si perdo 'a pacienza, mme scordo ca so' muorto e so mazzate!... Ma chi te cride d'essere...nu ddio? Ccà dinto,'o vvuo capi, ca simmo eguale?... ...Muorto si' tu e muorto so' pur'io; ognuno comme a 'na'ato é tale e quale». «Lurido porco!...Come ti permetti paragonarti a me ch'ebbi medaglie, riconoscenze, premi e citazioni, da fare invidia a Generali Alleati? «Tu qua' Natale...Pasca e Ppifania!!! T''o vvuo' mettere 'ncapo...'int'a cervella che staje malato ancora e' fantasia?... 'A morte 'o ssaje ched''e?...è una livella. 'Nu rre,'nu maggistrato,'nu grand'ommo, trasenno stu canciello ha fatt'o punto c'ha perzo tutto,'a vita e pure 'o nomme: tu nu t'hè fatto ancora chistu cunto? Perciò, stamme a ssenti...nun fa''o restivo, suppuorteme vicino-che te 'mporta? Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive: nuje simmo serie...appartenimmo à morte»!
Uguali di fronte alla morte
Il Sindaco Letizia Moratti e il padre
Solo il grande Totò poteva avere queste intuizioni e questi sentimenti. Di fronte alla morte non esistono differenze tra ricchi e poveri, tra vincenti e perdenti, tra imprenditori ed operai, e, noi, aggiungiamo, tra partigiani e repubblichini. In Italia, basta poco per essere etichettato. Chi chiede pietà per i “ragazzi di Salò” viene subito definito fascista. Quello che si chiede in questa nota, parafrasando Giulio Andreotti, non è l’equidistanza, ma l’equivicinanza, un neologismo che dovrebbe essere utilizzato anche per l’esigua distanza della tomba del “Sire” con quella di “don Gennaro”.
L’armadio della vergogna
L’Unità del 25 aprile 2009 è dell’avviso che: «non basta la buona fede per dimenticare, attraverso il nobile sentimento della pietà, 2.273 stragi naziste e repubblichine che hanno ucciso, torturato e massacrato 25 mila tra uomini, donne e bambini in soli due anni, tra il 1943 e il 1945»? Il contributo di sangue che l’Italia versò nel Secondo conflitto mondiale fu di 443.000 morti di cui 130.000 civili. «Il 15 aprile 2003 - continua lo stesso articolo de l’Unità - nella XIV Legislatura, è stata istituita una commissione parlamentare d’inchiesta sulle cause dell'occultamento dei fascicoli relativi a crimini nazifascisti. I fascicoli sono 695, occultati per più di mezzo secolo in un armadio, che è stato denominato “l’armadio della vergogna”. Purtroppo è tutto scritto da sempre. Purtroppo quel fiume carsico che non riaffiora, e che ha portato alle stragi di quegli anni, è ancora lì».Le cifre parlano
In un altro articolo, sempre dell’Unità del 25 aprile, si legge: «Sulla pietà non ci sono dubbi. Sul rispetto della storia anche, però. Il credersi nel giusto è un concetto applicabile a molti: non credevano di essere nel giusto le Ss? Non credevano di essere nel giusto gli uomini di Laurenty Beria, il capo della polizia di Stalin, quando in nome di una rivoluzione che avrebbe portato “al sol dell’avvenire”, prelevavano la gente di notte, per imprigionarli nei Gulag? Non credeva di essere nel giusto l’esercito americano che sterminò quasi soltanto donne e bambini Cheyenne del villaggio Sand Creek? Vale come un’assoluzione essere in buona fede»? L’Unità si è dimenticato tantissime altre cifre della seconda Guerra mondiale, come ad esempio i 6 milioni di ebrei uccisi dai nazifascisti, Hiroschima e Nagasaki con più di 160 mila morti in solo due giorni, i 19.600.000 morti cinesi, i 5.600.000 polacchi, i 7.600.000 tedeschi, i 2.600.000 giapponesi, e poi, 1.500.000 di indiani (non gli Cheyenne), 1.600.000 yugoslavi, e i 23.000.000 dell’Unione Sovietica.
La miccia lunga
Mentre in tutti i paesi del mondo, colpiti più di sessant’anni fa dal Secondo conflitto mondiale, si è raggiunta la “pacificazione” e la “riconciliazione”, solo in Italia continua la “guerra civile strisciante”. Il “grande” Andrea Camilleri parla ancora della “miccia lunga” che continua ad ardere dopo 60 anni. Ma la miccia è destinata a fare esplodere la bomba e a procurare altre vittime? Il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, sottolinea che “piaccia o non piaccia” i partigiani furono determinanti per ridare la libertà all’Italia, ma questo è giusto e sacrosanto.
Le minacce di Bersani
Pier Luigi Bersani
Bouteflika e la riconciliazione
Magdi Allam
Riconciliazione “modello Franceschini”
Il Segretario nazionale del Pd, Dario Franceschini
Un “modello” da seguire, potrebbe essere quello del Segretario nazionale del Pd, Dario Franceschini, secondo il quale, anche se «non si può equiparare chi combattè dalla parte giusta e chi invece lottò per una causa tragicamente sbagliata», si può personalmente essere “equivicini”. Infatti, con un padre partigiano, Franceschini ha sposato la figlia di un repubblichino. «Un conto, (quindi ndr), la comprensione (equivicinanza ndr), altro è l'equiparazione (equidistanza ndr) che non va fatta». La riconciliazione tra partigiani e fascisti nella mia famiglia di Franceschini avvenne nel 1952, quando il padre Giorgio, che rappresentava la Democrazia cristiana nel Comitato di liberazione nazionale di Ferrara, sposò la madre Gardenia Gardini, figlia di Giovanni Gardini, che fu in Libia con Italo Balbo, aderì a Salò, divenne podestà a San Donà di Piave e dopo la Liberazione dovette nascondersi per anni.
Gardini boia
La moglie di Franceschini, da ragazzina, andava a scuola con gli occhi bassi, per non vedere le scritte sui muri "Gardini boia", "Gardini a morte". Giovanni Gardini era di Poggio Renatico, tra Ferrara e Bologna. Aveva aderito al fascismo insieme con il medico del paese, Enrico Caretti, amico di Italo Balbo. «Caretti e mio nonno, racconta il leader del Pd, sposarono due sorelle, mia zia Albina e nonna Maria». I due ferraresi, ormai parenti, seguono Balbo in Libia, quando nel '34 sostituisce Badoglio come governatore della Tripolitania e della Cirenaica. Gardini è funzionario all'ispettorato dell'Agricoltura. Caretti è segretario federale del Pnf a Tripoli. Muore, insieme con un altro ferrarese, Nello Quilici, padre di Folco, sull'aereo di Balbo, abbattuto dalla contraerea italiana nel cielo di Tobruk il 28 giugno 1940. Il nonno di Franceschini torna in Italia e accoglie in casa la vedova e gli orfani di Caretti, che crescono con i suoi due figli: Gardenia e Annio, chiamato così perché tenuto a battesimo da Annio Bignardi, il gerarca più vicino a Balbo, che sarà tra i firmatari dell'ordine del giorno Grandi per deporre il Duce.
La Pira, Scalfaro e Gonella
Giorgio La Pira
In quegli stessi anni, a Ferrara cresce un giovane studente cattolico, di idee antifasciste. È Giorgio Franceschini. «Papà, racconta Franceschini, combatté in Albania, poi tornò in Italia, a Lucca, dove conobbe La Pira e si avvicinò al suo circolo. Dopo l'8 settembre tornò a casa e si schierò con i partigiani. Senza prendere le armi, ma facendo attività politica clandestina. Entrò nel nuovo Cln provinciale, dopo che i precedenti erano stati fatti fuori tutti, a Doro. Nel ‘53 Giorgio Franceschini, avvocato come il padre, Luigi, allora tra i più noti in città, e come il figlio Dario, entrò alla Camera con la Dc. Ma nel '58 nessun democristiano ferrarese fu rieletto. Franceschini senior divenne sindaco di Masi Torello, isola bianca nel mare rosso emiliano. «Papà non era un democristiano di sinistra. Era molto amico di Oscar Luigi Scalfaro e Luigi Gonella.
Dario Franceschini
Per questo, quando io aderii all'area Zaccagnini, fui considerato un ribelle. Il mio contraltare ferrarese era Alessandro Baratti, giovane comunista: ci scontravamo, ma eravamo legati da valori condivisi. Per questo, quando alla Fiera di Roma ho parlato di Costituzione e laicità, non ho detto cose democristiane né comuniste: esprimevo valori che avevamo in comune già allora». Durante l'occupazione nazista, il nonno materno di Franceschini fu podestà a San Donà di Piave. «Non fece nulla di male, anzi, protesse i partigiani, li aiutò a passare il confine jugoslavo ». Dopo la guerra, la Corte d'assise di Venezia lo assolverà da ogni accusa. «Ma il nonno non poteva comunque tornare al paese. Se si fosse fatto rivedere, l'avrebbero fatto secco. Fuggì. Stette via tre o quattro anni, tra l'Abruzzo, il Lazio, l'Umbria. Ma moglie e figli erano rimasti a Poggio Renatico. «La mia storia mi ha aiutato a capire molte cose. Non tutti gli uomini di Salò erano criminali, anche tra loro c'erano brave persone, in buona fede. Ma per me è sempre stata una verità assoluta che è impossibile equiparare e confondere le due Italie. Questo non significa che, fatta questa premessa, la conciliazione non sia possibile. Nella mia casa è già successa, molto tempo fa».
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