7 aprile 2009

La mattina della Domenica delle Palme

La mattina della Domenica delle Palme
di Roberto Maurizio

Sosa, la cornachia, sulla croce durante la Domenica delle Palme (Foto di Roberto Maurizio)

D’Annunzio, Croce, Vespa e Pannella



La mattina del 5 aprile 2009, con un Sole in ascesa in un cielo sempre più azzurro, nessuno poteva prevedere una catastrofe di così immense proporzioni. Alle 3 e 22 del 6 aprile 2009, la notte della Domenica delle Palme, sono bastati solo 30 secondi per gettare lutti e distruzione di chiese, castelli, orpelli, quadri e madonne, di strade, viali, prefetture, commissariati e università, di semplici case costruite con tutto l’amore che di fronte al genio della distruzione nulla può fare. Personaggi abruzzesi insigni al suo capezzale: Gabriele D’Annunzio e Benedetto Croce. Lacrime vere versate dal sommo Poeta e dall’invincibile liberale che ha reso l’Italia più libera. Pianti di rito, di chi è già predisposto a quest’inclinazione: un gelido contabile di chiese da ricostruire e di soldi da veicolare, Bruno Vespa e un caloroso franco abruzzese escluso dai media ufficiali, l’impareggiabile Marco Pannella. Un teramano verace, un abruzzese come lui, il grande Giacinto, doveva e poteva fare di più. Dare la sua anima e il corpo all’Abruzzo, dare anima e corpo alle persone amiche ancora intrappolate dal sisma. E’ difficile stare dietro alla cronaca, adesso. Quello che ci interessa è solo la salvezza delle persone ancora strangolate dal tremendo terremoto che ha tolto ancora sangue da una Regione insanguinata dalla corruzione. La crisi economica attuale coniugata con il terremoto mostra le sua massima capacità distruttiva in una Regione che ha voglia di sollevare la sua testa e dimostrare le sue capacità di ripresa.


I “Parmureli”

La mattina del 5 aprile 2009, con un Sole in ascesa in un cielo sempre più azzurro, come da centinaia di migliaia di anni, a Roma e in tutte le chiese cattoliche del mondo, si sono svolte le celebrazioni della Domenica delle Palme. La solita Roma di sempre, un po’ addormentata e pigra, si è radunata in Piazza San Pietro per lo svolgimento della sacra celebrazione dell’ingresso di Gesù, a dorso di un asino, a Gerusalemme, acclamato da una folla festante e da una miriade di foglie di palme sventolate al suo passaggio. Questo evento è stato seguito “in diretta” da “Stampa, Scuola e Vita” che si è avvalso della collaborazione “estemporanea” di Daniele Verzella, come fotografo e cameraman. Benedetto XVI, alle ore 9.30, ha attraversato in processione la piazza tra i rami delle palme e i canti solenni. dell’antica tradizione di Capitan Bresca e dei “Parmureli”, le composizioni di foglie di palma intrecciate di Bordighera e di Sanremo. Il lungo corteo, aperto dal Papa con i paramenti sacri delle cerimonie che danno inizio alla Settimana Santa di Pasqua, era composto da cardinali e da vescovi che avevano in mano un “Parmurelo”. Il Papa ne aveva una alta tre metri, i porporati stringevano pianti di un metro e mezzo, più piccole le composizioni dei presuli. Suggestivo lo scenario: sul sagrato dell'altare, davanti alla Basilica Vaticana, è stato creata, grazie al contributo della Regione Puglia, una piccola oasi di verde, con ulivi, peschi in fiore, ortensie, ciclamini, orchidee. La Domenica delle Palme ha coinciso con la “Giornata Mondiale della Gioventù” celebrata a livello diocesano: dopo la messa a San Pietro, una delegazione di giovani cattolici provenienti da Sydney (dove nel luglio scorso si è svolto l'ultimo incontro a livello internazionale) hanno consegnato ai coetanei spagnoli la croce, simbolo della Giornata della Gioventù che si svolgerà a Madrid nell'estate del 2011.


Capitan Bresca: “Aiga ae corde!”


La mattina del 5 aprile 2009, con un Sole in ascesa in un cielo sempre più azzurro. Dunque, si è rinnovata l’antica tradizione di Capitan Bresca, cioè quello di portare in Vaticano i parmureli della Riviera dei Fiori. Questo privilegio è stato conquistato con i fatti e i fatti si riferiscono al 1586, anno in cui, per volere di Papa Sisto V, l'architetto Domenico Fontana collocò in Piazza San Pietro il gigantesco obelisco egizio trasportato a Roma da Caligola nel 39 d.C.. Operazione ardita: l'obelisco, che ancor oggi fa bella mostra di sé nel centro della suggestiva piazza, è alto 26 metri e pesa 350 tonnellate. Per l’operazione vennero impiegati, pare, novecento operai, centoquaranta cavalli e quarantaquattro argani. Il 10 settembre, al momento di issare definitivamente l’obelisco, così come da espressa disposizione del Santo Padre, chiunque avesse osato proferir verbo durante la delicata e rischiosa operazione sarebbe stato condannato alla pena di morte. A un certo punto, però, l’obelisco vacillò pericolosamente – le funi con cui si stava sollevando l’enorme scultura monolitica erano prossime al punto di rottura – e il capitano sanremasco Bresca, incurante della pena di morte certa che l’avrebbe colpito gridò: "Aiga ae corde!" (Acqua alle corde). L’imperioso consiglio del marinaio ligure venne subito accolto dagli ingegneri del Vaticano, e si evitò così il surriscaldamento delle gomene che sostenevano l’obelisco, consentendo di portare a buon fine l’impresa. Il Papa non punì l’audace capitano Bresca, anzi volle compensarlo accordando a lui e alla sua discendenza il privilegio di poter inviare a Roma i “parmureli” necessari per le feste pasquali in San Pietro. Da allora, da oltre quattro secoli, le città di Sanremo e Bordighera (quest’ultima rappresenta il punto più a nord del mondo dove nascono spontanee le palme) hanno legato il loro nome alla tradizionale cerimonia della benedizione delle palme, per la domenica che precede la Santa Pasqua. L’importanza e la considerazione che il Vaticano riservava a questo privilegio assunse anche connotati curiosi. Quando le fronde di palma giungevano a Roma via mare, l’imbarcazione che le trasportava, giunta alla foce del Tevere, innalzava un “parmorelo” sul suo albero maestro. Questa “bandiera” dava alla barca ligure il diritto di precedenza su tutte le altre imbarcazioni, consentendo alle foglie di palma rivierasche di raggiungere il più celermente possibile il Vaticano. Insomma, “Acqua alle corde” è un ammonimento ancora valido da sfruttare anche per la rinascita dell’Abruzzo distrutto dal terremoto.


La palma di confetti


La mattina del 5 aprile 2009, con un Sole in ascesa in un cielo sempre più azzurro In molti paesi meridionali, compreso il mio (San Martino in Pensilis, Molise, quelli che una volta stavano con i loro “cugini” abruzzesi), continua la tradizione delle “palme di confetti” per i bambini durante la domenica che precede la Pasqua. In effetti, in questi paesi, una volta la palma come pianta non era molto diffusa e pochi conosceva l’esistenza di questi lunghi rami che venivano rappresentati solo nei libri di catechismo. Quindi, la Domenica delle Palme era per molti in giorno dei rami d’ulivo e, per i bambini, ovviamente, era una dolce composizione realizzata dopo un’attenta selezione con confetti bianche e colorati infilati, uno alla volta, in fili di ferro riscaldati che si lasciano ad asciugare sotto barattoli di vetro per almeno un giorno. I fili, poi, venivano avvolti in apposite cartine e adornati e assemblati con merletti e foglie di carta in ramoscelli fioriti. Questa tradizione, che sta scomparendo perché molto poca redditizia, deriva da un’antica e suggestiva leggenda della Costa Sorrentina. Si racconta, infatti, che alcuni secoli fa, quando i saraceni, temutissimi pirati turchi, terrorizzavano con le loro incursioni la costa, ci fu un tentativo di invasione particolarmente cruento. Numerose navi pirata si avvicinarono alle Coste Sorrentine, gli abitanti della cità impauriti si rifugiarono nella cattedrale invocando la grazia al Signore di essere salvati dai pirati. Le loro preghiere furono esaudite e tutte le navi saracene naufragarono in prossimità della costa. Nessuno dei pirati si salvò, unica superstite una giovane fanciulla, schiava dei saraceni che, miracolosamente, riuscì a mettersi in salvo raggiungendo a nuoto Marina Grande. Giunta in cattedrale per cercare rifugio, fu amorevolmente accolta e protetta dai sorrentini e lei, in segno di gratitudine, fece scivolare dal collo un vecchio sacchetto e n depositò il contenuto sull’altare: erano confetti colorati. Secondo la leggenda, quindi, era quella la Domenica delle Palme da ricordare e da allora, ogni anno, in ricordo dello scampato pericolo, le palme a Sorrento hanno colori variopinti dei confetti, frutto della gratitudine di quella fanciulla che grazie ai sorrentini riuscì, miracolosamente a salvarsi dai saraceni.



Speranza creatrice

La “palma di confetti” contiene al suo interno solo due considerazioni: la prima, la Settimana di Passione che deve attraversare l’Abruzzo ancora minato dalla violenza del terremoto; la seconda la nascita attraverso i confetti bianchi e colorati di un’Italia più umana, più civile e più vicina alla gente reale che soffre. E’ un peccato che un italiano, appartenente al popolo degli inventori, debba finire questo articolo con uno slogan copiato da una nazione più giovane e piena di contraddizioni. Yes, We Can.

Però, se si guarda con attenzione la storia del Cristianesimo, dell’Ebraismo e dell’Islam, come quella di tanti oppositori ma pieni di gloria interna, da Marx a Darwin, non si può concludere se non con le parole pronunciate da Benedetto XVI durante la mattina del 5 aprile 2009, con un Sole in ascesa in un cielo sempre più azzurro: solo la speranza è creatrice.

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